In alto, Per Penthesilea

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Artemis Primrose
view post Posted on 10/6/2014, 01:38     Top   Dislike




Non sapeva nemmeno perché stesse facendo una cosa del genere. Ma, in fondo, non era la prima volta che agiva senza un vero e proprio pensiero logico, senza una vera ragione.
Era cambiato. Forse da quando era arrivato a Hogwarts, forse da quando aveva fatto quell'incontro, nel parco, Artemis non si riconosceva più. Era partito da ragazzo asociale, permaloso, vanesio, un ragazzo che preferiva lo sfrusciare delle pagine dei libri al suono delle parole della gente. Ora, invece, era un ragazzo che si sedeva quasi volontariamente accanto alle altre persone, era un ragazzo che non aveva problemi a fermarsi a studiare con una ragazza che neanche conosceva, che continuava ad andare alle cucine nonostante il suo obiettivo non fosse bere, neanche un pochino.
E, onestamente, la cosa lo spaventava. Per tantissimi anni, da quando sua madre lo aveva trovato ferito e senza memoria, si era comportato in una certa maniera: che fosse il suo vero carattere, precedente anche alla perdita dei suoi ricordi, o solo una conseguenza di ciò, non poteva dirlo, ma era lui, il suo carattere, il suo io. Cambiare così tanto lo sconvolgeva. Adesso, Artemis si guardava allo specchio e non si riconosceva più. A rispondergli era un ragazzo completamente diverso rispetto a quello che era entrato, quel giorno, nei confini del castello.

Ed era un ragazzo che si distaccava sempre di più dal suo obiettivo iniziale, dalla sua missione principale: in tutto quel tempo, non aveva trovato una singola parola sul suo passato, neanche una singola informazione su ciò che cercava. Non sapeva, onestamente, se questo fosse un bene o un male: non era più tanto sicuro di voler ricordare.
Il suo passato incombeva su di lui come un abisso oscuro, soffocante e pregno di dubbi. La notte, al sicuro nel suo dormitorio, se chiudeva gli occhi poteva ancora vedere quel bambino che lo fissava, giudicandolo. Alla lezione di Difesa contro le Arti Oscure, era scappato. Aveva avuto troppa paura delle parole che quel bambino aveva intenzione di pronunciare.
Ma cosa gli avrebbe detto? Il suo vero nome, le sue origini? Il motivo per cui aveva perso la memoria? O il motivo per cui la sua famiglia lo aveva abbandonato?

Confusione, dubbi, incertezze.

E, ad un certo punto, Artemis si era sentito così tanto soffocare che aveva dovuto scappare. Via, lontano dalle mura del castello, dalla sala comune e dal dormitorio. Aveva compreso cosa portasse il fratello della Fey, ogni giorno, a vagare fuori dalle mura, nella più assoluta libertà dell'aria aperta.
E così era andato da Noctis Lucis Caelum.
Ottenere il permesso non era stato difficile, ma le premesse erano state tante: non allontanarsi dai confini del castello, non oltrepassare l'orario del coprifuoco, stare attenti. Ma erano tutte cose che Artemis sapeva di poter rispettare.
Da un po' di tempo a quella parte, dunque, Artemis dopo le lezioni ed i compiti da svolgere correva nella Foresta Proibita, da Polledro. Se la giornata era stata piuttosto impegnata, si limitava a dargli da mangiare e ad accarezzarlo. Altrimenti, si volava.
Era un modo per rilassarsi, per dimenticarsi tutto per qualche attimo e riprovare quella sensazione che lo aveva fatto sentire così bene a Cura delle Creature Magiche.
Tecnicamente, nessuno sapeva quello che faceva ogni "sera". Non perché fosse vietato, od un segreto, semplicemente perché Artemis non aveva alcun motivo per diffondere le informazioni sui suoi passatempi. Non c'era stata occasione neanche di comunicarlo a quelle due con cui passava metà del tempo.
Lui e Polledro, intanto, avevano stretto un rapporto molto profondo, e tutto filava per il verso giusto, nonostante tutto.

Dunque, perché aveva fatto una cosa del genere?
Era stato un gesto automatico, venuto all'improvviso: una cosa che Artemis aveva odiato. Era sempre stato un ragazzo perfettino, che amava avere il controllo della situazione e pianificare ogni singola mossa delle sue azioni. Ma era un altro degli aspetti che erano cambiati di lui, e non gli piaceva.
Quella mattina, con naturalezza e quasi nonchalance, aveva invitato Penthesilea alla Foresta. Non sapeva neanche il perché, o per quale motivo lo avesse fatto: era stata una domanda semplice, che gli era sfuggita dalle labbra senza che potesse fermarsi. Non aveva specificato il motivo, ma non era quello il problema. Non lo era affatto.

Era sera, ma l'ora del coprifuoco non era ancora arrivata: sarebbe giunta fra un'oretta circa, forse un po' di più. Una leggera brezza fece rabbrividire Artemis, ma si stava bene. L'estate non era ancora arrivata del tutto, in fondo.
Il corvonero stava continuando ad accarezzare Polledro, attendendo l'arrivo della rossa. Sempre se fosse venuta.

Privata.
 
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Penthesilea E. K. Ollivander
view post Posted on 2/11/2014, 22:12     Top   Dislike




Quando lavori in una bottega di bacchettai, a un certo punto ti abitui a qualunque cosa. Ogni genere di stranezza ti passa sotto gli occhi senza che tu neppure te ne accorga: bacchette che materializzano stormi di gufi e ondate di melassa, tavoli che scompaiono per una calibrazione sbagliata, botteghe che esplodono come se piovesse. In un certo senso, ero talmente abituata a questo e molto peggio che quasi non mi rendevo nemmeno conto di vivere in mezzo a cose assurde. Avevo smesso di sorprendermi a meno che le cose non mi colpissero con violenza inaudita, dritto in faccia, senza nemmeno arrischiarsi ad andarci piano con me. Del resto, non ero una che le mandava a dire.
Ma questo non c'entra niente, ricominciamo dall'inizio.

Quella mattina, mentre assaporavo la mia marmellata col pane nero, ecco arrivare qualcuno per puro caso. Qualcuno che, ovviamente, era convintissimo di poter sgattaiolare fuori dal castello col suo amichetto alato senza dire niente ad anima viva, ma non è che a me e Ol scappassero certi movimenti. Anche perché lui era furtivo quanto io ero sobria dopo una sera nelle cucine.
In ogni caso, rimasi comunque sconvolta quando scoprii cosa fosse venuto a dirmi Prim quella mattina, con l'aria tranquillissima di chi stava discutendo un vecchio trattato di filosofia spicciola.
Ci vediamo stasera nella Foresta, disse in breve, per poi andarsene tranquillo tranquillo. Ovviamente, Olette seppe tutto ancor prima che Caelum potesse annoiarci nel tentativo di farci spalare sterco di Grifone.

- Prim - lo salutai con un sorriso allegro. Era sera, poco prima del coprifuoco. Era in un posto abbastanza appartato, ma non mi era venuto difficile localizzarlo. Stava accarezzando l'aria per l'ennesima volta, da che potevo vedere... o meglio stava accarezzando un Thestral, come aveva spiegato il Maestro Caelum. Ovviamente, era bastato mettere il professore alle strette (con convincenti argomentazioni del tipo "appenderemo tuo figlio per le mutande alla Torre di Astronomia") per capire che fosse una cosa abituale, per Prim, andare nella Foresta a prendersi cura di quell'animale. Altro però non potemmo sapere, e capimmo che l'incolumità di Gwydre poteva essere minacciata fino a un certo punto: sotto la minaccia di due pedate (e non punti in meno: Comare ci conosceva), ce ne tornammo buone buona ai nostri affari. Dissi comunque a Olette che avrei raggiunto Prim. Non sono una Legilimens, ma scommetto che in quella testaccia frullassero idee di ogni genere.
Nella mia frullerebbero.

- E'... quel coso, giusto? - domandai avvicinandomi e cercando di non mostrarmi tesa, visto che un po' lo ero. - Uno di quei Thestral. Ti ci sei affezionato, eh? - gli sorrisi. Prim aveva un'aria così... oppressa, di recente. Insofferente, potremmo dire. Più del solito.
 
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