| Quella situazione fece riportare per un attimo Erin a qualche giorno prima, nella Torre dell'Orologio, quando Xavier le aveva proposto di sposarlo. Era successa una cosa simile anche allora, si erano solo invertiti i ruoli. Anche in quell'occasione si era presentata una frase conclusa dall'altro, un'esagerazione dal colpevole. Ma ad Erin sembrava che la colpa fosse più dalla sua parte, entrambe le volte. Del resto, sposandola Xavier le avrebbe fatto un enorme favore, favore che non pensava potesse essere ricambiato. E quando l'aveva baciato, era stato un semplice atto mosso dalla sua voglia di farlo, senza considerare i suoi, di pensieri, quelli del Corvonero, senza nemmeno considerarlo, approfittando semplicemente della situazione. Impulsiva. ricordò in un sussurro l'irlandese. Era quella, la parola che aveva utilizzato per indicare il comportamento di Xavier nella Torre dell'Orologio, adattandola a lei stessa. In effetti, ci stava più che bene. Non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe riferita a se stessa con quel termine. Lei che era sempre stata misurata, prudente, sospettosa... E adesso, si era resa conto di agire secondo impulsi non dettati da lei. O meglio, non dalla sua mente. Appoggiò le labbra sopra al colletto del farsetto di Xavier, mentre sentiva la sua mano tra i capelli e la sua voce le dava il permesso di baciarlo quando meglio credeva. Erin alzò il capo, per poi appoggiare la fronte contro quella del ragazzo. Tu... Tu sei troppo buono, Xavier. mormorò. Non riusciva in quel momento a non paragonare il ragazzo alle persone che l'avevano circondata fino a quel momento. Suo padre, Finn, Thierry. Loro erano i suoi uomini, quelli che la proteggevano. Gli voleva bene a tutti e tre, gli voleva dannatamente bene, e sapeva che il sentimento era ricambiato. Tuttavia, non poteva chiudere gli occhi davanti al menefreghismo di Kieran nei suoi confronti, alle battute imbarazzanti e di cattivo gusto di Finn. Al terrore che spesso Thierry le incuoteva. In Xavier, non aveva ancora trovato nulla da rimproverare. Era solo stato gentile. Era solo stato buono. Tenendo stretta la mano di Xavier, lo seguì fino ad arrivare davanti ad uno spoglio muro di pietra. Erin rimase un attimo interdetta dalle sue parole, tanto che riprese quel suo tic di sollevare il sopracciglio sinistro, assumendo il suo cipiglio scettico e sarcastico, mentre guardava il suo viso. Riportò gli occhi sul muro. Ti ho già detto, che non capirti m'innervosisce. commentò. Tuttavia, fece quanto Xavier le aveva richiesto. In un primo momento, pensò che qualunque luogo, con il ragazzo accanto, sarebbe stato perfetto. Me poi, senza volerlo, la sua mente volò oltre il mare, in Irlanda, a casa. In particolare, il posto che più identificava come casa. Vide nella sua mente il grosso caminetto in pietra, col caldo fuoco scoppiettante, la grossa cassapanca di noce, con dentro tutti i suoi oggetti, il guardaroba dello stesso materiale riempito da vestiti maschili, il letto a baldacchino, con le sue lenzuola candide e le pellicce chiari, i grossi drappi di velluto porpora che scendevano dalla struttura lignea del baldacchino, lo scrittoio e la sua sedia, con pergamene e piume e tomi su un angolo della stanza, e al centro di questa, il pesante tappeto, con sopra il divanetto di ciliegio foderato di stoffa rossa e dorata e la poltrona e il tavolino su cui le serve appoggiavano il pane e il latte nei pomeriggi d'inverno in cui tutti e quattro i Caulfield si rifugiavano. La camera di Thierry. Si, le mancava, le mancava troppo anche lui. Quanti giorni aveva passato, in quella camera? Innumerevoli. Era in assoluto la stanza che preferiva del castello di suo padre. Strinse ancora la mano di Xavier, continuando a guardare il muro davanti a lei.
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